In occasione dell’uscita del suo nuovo libro “La fine dell’impero americano”, il celebre giornalista e autore statunitense Alan Friedman è intervenuto ieri, mercoledì 16 aprile, all’Auditorium di Pont-Saint-Martin, affrontando temi di attualità internazionale.
L’articolo di di Silvia Pandolfini su aostasera
Da febbraio 2022 viviamo in un mondo profondamente cambiato: la guerra in Ucraina ha provocato un numero di vittime che non si registrava dal 1945. In queste circostanze tendono a emergere leader populisti, che promettono soluzioni, facili e ottimiste quanto fuorvianti, a problemi sproporzionatamente complessi; tra questi spicca Trump, personaggio al centro del dialogo tra il giornalista Alan Friedman e il libraio Davide Gamba, tenutosi ieri, mercoledì 16 aprile, nella sala polivalente dell’Auditorium di Pont-Saint-Martin. L’evento è stato organizzato in collaborazione con la Biblioteca di Pont-Saint-Martin “Mons. G. Capra” e la Libreria Mondadori di Ivrea, per presentare l’ultimo libro scritto da Friedman: “La fine dell’impero americano – Guida al Nuovo Disordine Mondiale”.
Si è laureato a 20 anni, ha inventato e condotto programmi televisivi di successo, intervistato sia Putin che Trump, è stato editorialista del Corriere della Sera, è collaboratore de La Stampa e ha lavorato per rinomate testate internazionali. In questo suo nuovo volume, Alan Friedman ripercorre quelle che individua come le fasi più importanti del progressivo fallimento della leadership americana, attraverso un buon numero di presidenti, da Roosevelt a Biden, passando per Kennedy, Carter, Bush Junior, Obama, fino ad arrivare all’era divisiva di Donald Trump e Kamala Harris, con “perizia e profondità”, coniugate, secondo Gamba, a “una semplicità espositiva di altissimo livello che è una sua caratteristica”.
L’America non è più il “Paese della Libertà”
Il ruolo di “Paese della Libertà”che l’America copriva nell’immaginario collettivo si sta sfaldando, secondo l’autore. Attualmente, il concetto di libertà si è ridotto a un’idea di libero mercato, perdendo la sua dimensione valoriale. In nome di questo principio economico assoluto, si sono generate conseguenze importanti: ingerenze nei percorsi di sviluppo di altri Paesi, uno sfrenato iperconsumismo e una crescente concentrazione di ricchezze e poteri nelle mani di pochi gruppi finanziari. Davide Gamba ha sollevato dunque un interrogativo a Friedman: che sia questa distorsione del concetto di libertà ad aver alimentato un disamore per l’idea liberale?
“Gli americani se ne fregano del passato” ha risposto risoluto il giornalista. “Una delle mie tesi, purtroppo senza lieto fine, è che stiamo vivendo dinamiche simili a quelle degli anni ’30: anche allora, in un clima di crisi, emersero populisti che usarono capri espiatori come ebrei, immigrati, omosessuali. Il risultato fu una spirale di violenza e guerra. Oggi non viviamo una copia di quegli anni, ma, come si dice, la storia non si ripete, fa rima”. E queste rime, purtroppo, le stiamo vedendo di nuovo.
“Oggi il presidente degli Stati Uniti non crede più nella democrazia” continua Friedman. “Siamo arrivati a un’America che non è più libera come pensavamo. La violenza è fuori controllo, Trump la alimenta. La sua elezione ha segnato la crisi del sistema liberale”.
Come siamo arrivati ad un’America non libera?
“La risposta passa dai presidenti”. La discussione si è soffermata in particolare su tre: Bush, che ha accelerato il declino della stabilità americana con le guerre in Iraq e Afghanistan, aumentando l’instabilità globale, Obama, considerato un grande presidente per i diritti civili, ma criticato in politica estera (in Libia ha contribuito al caos con l’intervento contro Gheddafi e nel 2013 in Siria non ha rispettato la “linea rossa” dopo l’uso di armi chimiche da parte del regime di Assad), e in ultimo Trump, eletto nel 2016 e promotore di una politica estera più isolazionista, giustificata dallo slogan “America First”.
Nel suo libro, l’autore spiega come Trump abbia accelerato questo declino e come fra 40 anni la Cina sarà la potenza più influente. “Abbiamo davanti a noi almeno un decennio in cui il mondo si riplasmerà”.
“E’ la prima volta da 80 anni che il presidente americano si mette contro la Russia”, allerta l’esperto. Trump ha infatti bloccato le critiche del G7 a Mosca persino dopo l’uccisione di bambini in Ucraina, per non andare contro la Russia, e sostiene che l’Ucraina ‘se l’è cercata’. L’attuale presidente è un “uomo che cambia”, i meccanismi del mercato sono incerti e la situazione imprevedibile.
La logica dietro i dazi di Trump, una guerra che “andrà avanti”
“Non c’è una logica nei dazi di Trump”, spiega Alan Friedman, “sta improvvisando e ne sta facendo un uso politico”.
In America l’80% della popolazione lavora nei servizi e solo il 20% nell’industria. “Gli Stati Uniti non sono pronti a tornare a produrre t-shirt e scarpe, non sono disposti a lavorare come in Vietnam o in Cina per 50 centesimi. Tutto questo è una farsa”, denuncia il giornalista.
Tra le conseguenze negative per l’Europa si prevedono un aumento di licenziamenti, la diminuzione delle esportazioni e un calo della crescita economica almeno del 0,5%.
“Non chiedetemi se c’è una logica o una strategia, né come siamo arrivati fino a qui”, conclude Friedman. “Dobbiamo prendere consapevolezza che la guerra dei dazi andrà avanti e che Trump non finirà. L’America oggi non rappresenta più né l’apertura né un alleato affidabile per l’Europa”.
Insomma, siamo in una situazione senza precedenti e senza equilibrio che, purtroppo, pare non abbia ancora mostrato il suo peggio.